La pubblicità occulta e il fenomeno degli influencer

Si sente spesso parlare di influencer, e chi naviga sui social networks o su Youtube sicuramente avrà fatto esperienza diretta del loro incredibile potere mediatico. Ma chi sono veramente gli influencer e quali sono le loro caratteristiche principali? Facciamo un po’ di chiarezza.

Per influencer, lo dice la parola stessa, si intende un utente del web in grado di “influenzare” le altre persone, trasmettendo loro nuovi stili di vita, nuove idee e, soprattutto, nuove abitudini di consumo, attraverso post, articoli, video, immagini che vengono caricati su canali, spesso interconnessi tra loro, quali Instagram, Facebook, Youtube, Pinterest, nonché blog personali.

Gli influencer posseggono tutti le seguenti caratteristiche:

1. hanno migliaia o milioni di follower (seguaci) e di contatti

2. creano contenuti in grado di creare moltissime interazioni

3. sono ritenuti “credibili” e “affidabili”

Ed è proprio il terzo punto quello più critico. In linea di principio gli influencer, quando pubblicizzano determinati prodotti o servizi commerciali, vengono ritenuti dal pubblico affidabili in quanto neutrali nel proprio giudizio. L’influencer, infatti, a differenza dell’ambassador, non dovrebbe, almeno in teoria, percepire alcun emolumento dai brand di cui parla, sicché il suo giudizio – più o meno critico – dovrebbe essere assolutamente veritiero.

L’influencer – e qui risiede la sua incredibile forza mediatica – viene percepito, infatti, dalle masse come una sorta di “amico della porta accanto”, che prova i prodotti e servizi più disparati e che, con grande generosità, mette a disposizione degli altri quanto ha compreso in merito agli stessi.

Ma attenzione, non tutti gli influencer sono veri influencer, anzi la maggior parte di loro sono veri e propri ambassador, ovvero utenti del web pagati dai maggiori brand per dettare la moda del momento ai propri follower.

Come difendersi allora da quelli che non sono suggerimenti disinteressati, ma vere e proprie pubblicità occulte? In molti se lo stanno chiedendo, gridando a gran voce affinché ai consumatori venga fornita la possibilità di conoscere ex ante se il messaggio loro indirizzato è o meno disinteressato.

È evidente, infatti, come la pubblicità effettuata per mezzo degli influencer non segnalata come tale finisca per trasformarsi in una pratica commerciale sleale, in quanto ingannevole per i consumatori, nonché in una pratica contraria a ai principi della sana concorrenza fra imprese.

Di recente l’Antitrust si è occupata del tema affermando – seppur solo mediante comunicati stampa e lettere di moral suasion inviate ai principali influcencer e brands – la necessità che venga chiaramente indicato il fine promozionale del messaggio, mediante l’inserimento di avvertenze, anche sotto forma di hashtag, come  #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento, o, nel caso di fornitura del bene ancorché a titolo gratuito, #prodottofornitoda, diciture alle quali far sempre seguire il nome del marchio.

Sarà sufficiente? Noi riteniamo di no. Sicuramente, infatti, i grandi influencer, come Chiara Ferragni, Clio Make Up e così via, essendo costantemente sotto i riflettori e concludendo accordi commerciali a parecchi zeri continueranno o implementeranno le pratiche, invero in gran parte già adottate, consistenti nell’evidenziazione, più o meno marcata, della finalità promozionale del messaggio dagli stessi diffuso.

Non così invece la rete di micro influencer che sta interessando la rete e, che potendo vantare solo “qualche” migliaio di followers potranno, in questo scenario, continuare indisturbati con la propria opera di sponsorizzazione dei prodotti e servizi, facendo in realtà sembrare i propri consigli totalmente disinteressati.

Anche noi come associazione di tutela dei consumatori intendiamo, quindi, farci portavoce della richiesta nei confronti delle autorità competenti affinché si metta mano al settore in modo efficace, con sanzioni certe, adeguate e proporzionate per chi non rispetta le regole tese a garantire un mercato leale e concorrenziale.

Giulia De Luca

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