L’entrata in vigore del decreto del Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali (MIPAAF) che prevede l’obbligatorietà dell’indicazione dell’origine del grano utilizzato per la produzione della pasta sta destando non pochi malumori e perplessità.
Tale decreto, che segue la scia dei decreti sull’indicazione obbligatoria dell’origine del latte e dei derivati del pomodoro, prevede l’obbligo di indicare il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e quello in cui il grano è stato macinato. Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi, possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le diciture: Paesi Ue, Paesi non Ue, Paesi Ue e non Ue. Laddove, invece, il grano sia stato coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si potrà indicarlo come proveniente dall’Italia e da altri Paesi Ue e/o non Ue. Solo nel caso in cui il grano provenga dall’Italia e le fasi di produzione del prodotto finito siano ivi avvenute, potrò indicarsi in etichetta la dicitura “prodotto 100% italiano”.
L’Associazione italiana dei Pastai (AIDEPI) si è sin da subito attivata contro tale decreto, evidenziando come lo stesso finisca per confondere le idee ai consumatori, sottintendendo che la qualità della pasta derivi dall’origine del grano e che il grano “migliore” sia quello italiano, a scapito di quello straniero, circostanza questa che non sempre trova riscontro nella realtà dei fatti.
Quello che è certo, in ogni caso, è che tale decreto rischia di avere vita molto breve, essendo molto probabile che nel secondo quadrimestre del 2018 venga varato il regolamento della Commissione europea attuativo dell’art. 26 par. 3 del reg. 1169/2011, in materia di informazioni obbligatorie sugli alimenti.
In base a tale disposizione quando il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento – quindi non solo della pasta – non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario, dovrà essere segnalato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di quest’ultimo, oppure il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario dovrà essere indicato come diverso da quello dell’alimento.
È evidente come il desiderio dei consumatori di conoscere l’esatta provenienza dell’alimento ingerito potrebbe risultare non del tutto soddisfatto da una simile previsione. V’è tuttavia da evidenziare come, a differenza di quanto frettolosamente affermato da talune associazioni di tutela dei consumatori, ad essere bilanciato e, in parte sacrificato, rispetto all’interesse del buon funzionamento del mercato europeo non sarà di certo il diritto alla sicurezza alimentare, non essendo questa in discussione, bensì il solo diritto all’informazione relativamente all’indicazione d’origine e di provenienza, che certamente non può essere confusa con l’informazione concernente la qualità del prodotto.
In un quadro normativo così complesso e articolato, pertanto, Consumatori Attivi non può che augurarsi che le Istituzioni, al di là del perseguimento di obbiettivi di politica economica, come la promozione commerciale del made in Italy, promuovano campagne educative e attività volte a rendere i consumatori meglio edotti circa aspetti importanti quali la lettura delle etichette e la comprensione delle indicazioni in esse contenute.