Locazioni e Covid19: storia di un equilibrio spezzato

Il COVID non solo sta creando una drammatica situazione di incertezza generale, ma ha offuscato anche quel poco di certo che c’era.

Un esempio eclatante è la natura sinallagmatica delle locazioni: sulla carta del codice civile sono (sarebbero?) un contratto a prestazione corrispettive, dove alla concessione d’uso di un bene da parte del locatore corrisponde l’obbligo di versare un corrispettivo in capo al conduttore. In era COVID questo sinallagma, equilibrio, appare decisamente debole, per non dire spezzato.

Vero è che la pandemia ha impattato in maniera drammatica sulla situazione economica generale, rendendo per molti il canone di locazione una spesa insostenibile, basti pensare alle tante attività commerciali e non costrette a chiudere per rispettare le misure emergenziali varate dal Governo per contenere la diffusione del virus. E il Governo ha cercato di dare un sostegno con diversi strumenti, quali:

  1. Bonus affitti, ossia il credito d’imposta del 60% e 30% per canoni di affitto d’azienda, con possibilità di cederli a istituti di credito, intermediari finanziari e locatori;
  2. contributi a fondo perduto per le associazioni sportive titolari di rapporti di locazione;
  3. contributo a fondo perduto regionali sempre per abbattere i canoni di locazione.

Si tratta di misure che però sono riuscite a raggiungere una platea parziale, basti pensare che il primo Decreto Ristori aveva lasciato scoperti diversi codici ATECO e si è dovuto attendere il Ristori quater per soddisfare le legittime aspettative di altre categorie. Eppure resta sempre escluso qualcuno, fra l’altro con conseguenze paradossali: il contributo non viene erogato ai soggetti che hanno attivato la partita Iva a partire dal 25 ottobre 2020, con il risultato di penalizzare proprio chi ha avuto il coraggio di aprire un’attività in piena pandemia!

In ogni caso, è evidente scorrendo l’elenco di cui sopra che si tratta di benefici a senso unico, ossia solo a favore dei soli conduttori.

E i proprietari? Completamente dimenticati.

Finalmente, con il decreto Ristori il Governo si è reso conto che forse era il caso di cancellare almeno la seconda rata dell’IMU, solo che anche qui ha riformato almeno 4 volte la norma fino ad arrivare alla versione definitiva del Ristori quater, che esonera dal pagamento dell’IMU i soggetti passivi dell’imposa municipale, a prescindere che siano o meno proprietari dell’immobile ove vengono esercitate le attività con i codici ATECO beneficiarie del bonus.

Il Governo ha pensato poi di aiutare anche i proprietari delle locazioni abitative introducendo con la legge di Bilancio 2021 un contributo a fondo perduto per l’anno 2021. Ma non a tutti: solo ai locatori di immobili adibiti a uso abitativo situati in un comune ad alta tensione abitativa (che sono quelli indicati in un elenco di un vecchio provvedimento del Cipe- delibera n° 87 del 13 novembre 2003), nel caso riducano il canone. Si tratta di un bonus pari al 50% del canone e comunque non superiore a €1200. E le locazioni interessate sono quelle di immobili ad uso abitativo ovvero quelli classificati/classificabili nella categoria catastale A, ad eccezione degli A/10 (uffici e studi privati).

Vengono escluse dal contributo a fondo perduto tutte le altre, le quali, se vogliono una riduzione, devono ricorrere al meccanismo del credito d’imposta.

Se, quindi, i benefit disposti a favore dei conduttori e dei proprietari risultano sbilanciati a favore dei primi, è il Decreto c.d. “Milleproroghe” (D.L.183/20) che si abbatte sui secondi come un macigno. Infatti, fra le “milleproroghe” vi è anche quella della sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti giudiziali di rilascio di immobili, anche ad uso non abitativo, originariamente disposta dal Decreto Cura Italia sino al 30 giugno 2020, poi differita al 30 settembre 2020 e, ancora, al 31 dicembre 2020.

Tale proroga rischia di causare un triplice vulnus a diritti costituzionalmente garantiti.

Sospendere le procedure di sfratto senza adottare misure compensative per i locatori, infatti, vuol dire: a) limitare il diritto di proprietà privata, perchè il proprietario resta privato della facoltà di ritornare in possesso del bene concesso al conduttore moroso; b) ledere la libertà di iniziativa economica privata, perchè il proprietario, non potendo riprendersi il proprio bene, non può rimetterlo sul mercato; c) vanificare l’azione giudiziaria, perchè sommando le varie proroghe governative si arriva ad una moratoria di ben sedici mesi (tale è il periodo compreso tra il 18 marzo 2020 ed il 30 giugno 2021) e pregiudicare il principio basilare della certezza del diritto, nonché del giusto processo (perchè se un processo esecutivo supera la durata triennale – e nel nostro Paese non ci vuole molto a raggiungerla già in periodi “normali” – viola i limiti della Legge Pinto).

Non solo: non opera alcuna distinzione fra morosità ante e post-Covid, il che consente a coloro che già non pagavano il canone prima della pandemia di proseguire nel loro inadempimento senza temere alcuna conseguenza e, qualora sia stata già emessa la convalida di sfratto, si arriva al grottesco risultato che il Governo legittima di fatto e di diritto l’occupazione abusiva di beni altrui, lasciando il proprietario privo di qualsivoglia tutela anche nell’ipotesi in cui la permanenza del conduttore possa arrecare pregiudizio all’integrità dell’immobile, con scarse se non nulle possibilità di recuperare non solo i canoni, ma anche eventuali oneri accessori e risarcimento danni.

E ancora: gran parte dei provvedimenti di sfratto sospesi hanno poco o nulla a che vedere con l’emergenza, considerato che le procedure durano alcuni mesi e, per di più, l’anno scorso i tribunali hanno rallentato molto l’attività. In altre parole, gli sfratti dichiarati nel 2020 e tuttora bloccati, derivavano da provvedimenti emessi ben prima dell’inizio della pandemia. La moratoria cesserà (forse) a fine giugno, ossia a ridosso dell’estate e, quindi, della sospensione feriale dei termini processuali o comunque un nuovo rallentamento della macchina della giustizia, con il risultato certo di creare un ingorgo processuale e un’ulteriore dilazione dei tempi di esecuzione.

Insomma, il blocco degli sfratti non è controbilanciato da alcuna misura compensativa per il proprietario, che, viceversa, si trova costretto a pagare tasse, imposte e magari pure il mutuo che aveva contratto proprio per acquistare il bene locato e ricavarne una (forse l’unica) fonte di reddito, oltre, giova ribadire, a vedersi privato sine die del diritto a riottenere la disponibilità del proprio bene per rimetterlo sul mercato o per destinarlo ad esigenze abitative proprie o di propri familiari.

E ancora: alla sospensione degli sfratti consegue il rischio di parziale paralisi del mercato immobiliare, in quanto il perdurante stato di incertezza dissuade i proprietari da locare propri beni.

Insomma, le locazioni erano un contratto sinallagmatico, ossia a prestazioni corrispettive, in epoca COVID non più.

Avv. Ester Soramel

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