Quello italiano, si sa, è da sempre un popolo di risparmiatori. Gli ultimi dati disponibili non smentiscono: la ricchezza netta totale delle famiglie italiane ammonta a fine 2017 a ben 9743 miliardi di euro, quasi otto volte e mezzo il reddito disponibile. La brutta notizia è che questo gruzzolo, dal picco del 2013, non ha fatto altro che diminuire. Con gli inevitabili sorpassi degli altri paesi. Se parliamo di ricchezza netta per famiglia, ci manteniamo ancora sopra alla Germania, ma paesi come Francia, Regno Unito e Giappone sono ormai lontani anni luce sui grafici di Banca d’Italia.
Ma perché il nostro risparmio non sta prendendo quota come quelli esteri? Qual è la zavorra che ci tiene a fondo? Uno dei motivi, se non l’unico, sembra essere una invisibile ma costante erosione della ricchezza italiana da parte di banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio.
Le abitudini di risparmio degli italiani stanno cambiando, e non necessariamente in meglio. Il proverbiale investimento sul mattone (49% della ricchezza lorda italiana) sta ancora calando a causa di una discesa dei prezzi sul mercato immobiliare che continua dal 2012. Calano azioni e obbligazioni. Aumentano invece, e questo è il punto, i risparmi gestiti: quote di fondi comuni, polizze finanziarie e fondi pensione. Siamo al 14% della ricchezza lorda. Gestioni a cui gli intermediari impongono commissioni altissime, e di gran lunga superiori al resto dell’Europa. Prelievi onerosi, che frenano i rendimenti e sterilizzano i risparmi degli italiani. E che si applicano anche in caso di perdita, senza variazioni.
Se la media europea dei costi per i fondi comuni di investimento azionari nel periodo 2008-2017 è stata del 24% delle performance lorde, in Italia siamo al 37% (dati Esma). Costi dei fondi obbligazionari italiani al 33,5%, mentre in europa siamo al 27%. La maggior parte di questi costi, naturalmente, va a promotori finanziari e società di gestione del risparmio: il 70%. L’aspetto più preoccupante di questo fenomeno è che è invisibile. I risparmiatori non vengono mai informati chiaramente su come i costi influiscono davvero sui rendimenti, e non sono messi in grado di valutare consapevolmente quanto sia davvero conveniente un investimento del genere, rispetto a quelli alternativi. Eppure le norme in materia ci sarebbero, con la direttiva Mifid2 in vigore dal 2018 che regola proprio la trasparenza in campo finanziario. Il problema è che nella maggior parte dei casi vengono ignorate.
Ecco allora che la tosatura dei risparmi delle famiglie italiane può continuare impunita e indisturbata, e contribuire così (evitabilmente) al ristagno della ricchezza italiana.
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Luca Vacchiani