Numerosi sono i casi che stiamo trattando di consumatori che si trovano a vedersi offrire da Poste la liquidazione di buoni fruttiferi postali trentennali con rendimenti peggiorativi rispetto a quelli riportati sul retro degli stessi. Il problema nasce dalla modifica, al ribasso, dei tassi d’interesse dei buoni postali fruttiferi apportata dal D.M. del Tesoro del 13 giugno 1986. Trattasi, per esempio, di buoni, emessi fra il primo luglio del 1986 e il 31 ottobre del 1995, per i quali è stato utilizzato il modello della serie precedente P, nel periodo in cui erano però in collocamento quelli della serie ordinaria Q. Infatti, per effetto dell’art. 5 del D.M., è stata cura degli uffici postali apporre agli stessi due timbri: uno sulla parte anteriore con la dicitura Q/P, l’altro sulla parte posteriore indicando la misura dei nuovi tassi. Questi si applicano, dunque, sia ai buoni emessi successivamente al decreto, sia a quelli emessi in precedenza. In buona sostanza, ne consegue la possibilità che i tassi subiscano delle variazioni disposte a norma di legge. Attenzione però, il timbro che modifica le rendite, apposto sulla parte posteriore di questi buoni, indica i nuovi interessi fino al ventesimo anno, lasciando inalterato l’importo originariamente stabilito applicabile dal 21° al 30° anno. Quest’ultima situazione è oggi la vera ragione del contendere e che può far variare anche di decine di migliaia di euro la somma liquidabile dal buono: i possessori dei buoni richiedono il pagamento degli interessi corrispondenti a tale periodo, come indicati sui titoli della precedente serie, mentre Poste italiane S.p.A. tende a non liquidarli facendo riferimento ai soli tassi della nuova serie successivamente applicati. La questione non è di poco conto, siccome i titolari dei buoni potrebbero ottenere migliaia di euro in più, avvalendosi delle più vantaggiose condizioni pattuite sin dal principio. Ebbene, secondo l’orientamento ormai consolidato dell’Arbitro Bancario Finanziario, sussiste il diritto del titolare del buono ad ottenere l’applicazione delle condizioni originariamente riportate sul retro del buono per quanto concerne il rendimento dal ventunesimo fino al 31 dicembre del trentesimo anno successivo a quello di emissione, poiché è da ritenersi ingenerato un legittimo affidamento meritevole di tutela del cliente sulla validità di tali tassi di interesse.
Un’ulteriore delicata questione riguarda la clausola negoziale “C.P.F.R” (vale a dire “con pari facoltà di rimborso”) riportata sui buoni fruttiferi postali nel caso in cui tali prodotti di investimento finanziario siano cointestati fra più soggetti. Questa indicazione consente la riscossione, con la sola presentazione del titolo e di un valido documento di riconoscimento, dell’intero importo del buono a richiesta di ciascun cointestatario senza nessun onere aggiuntivo. Il dubbio che qui sorge è il seguente: cosa accade se uno dei cointestatari del buono postale fruttifero dovesse morire prima della liquidazione del denaro? Il contitolare superstite potrà comunque riscuotere l’intero titolo senza ulteriori adempimenti burocratici, quali l’esibizione del certificato di morte del cointestatario, l’apertura delle pratiche di successione e la presenza degli eventuali eredi? La tendenza di Poste Italiane è quella di non ritenere applicabile la clausola negoziale sia per ragioni di carattere fiscale (a causa della determinazione delle imposte dovute al subentro degli eredi nel patrimonio del defunto), sia di carattere successorio (per evitare un pregiudizio agli altri coeredi). Sul punto però, oggigiorno, la giurisprudenza è unanime nel senso di attribuire al possessore del titolo, rimasto in vita, l’applicabilità della clausola C.P.F.R, e quindi la riscossione dell’intero importo senza eccessive incombenze burocratiche. E’ fatta comunque salva, nel caso in cui la pretesa sia fondata, la facoltà degli eredi di chiedere giudizialmente la restituzione della propria quota nei confronti di chi l’abbia riscossa.
Dr. Mattia Zuccolo