Il 2018 è iniziato per i consumatori italiani con la sorpresa che, d’ora in poi, i sacchetti utilizzati per l’imballaggio della frutta e verdura saranno non solo biodegradali e compostabili – come era ora che fosse! – ma anche a pagamento.
Inutile dire che la notizia ha scatenato un certo caos, nonché vere e proprie strumentalizzazioni politiche del diffuso malcontento, a dir poco scontate, dato l’inesorabile avvicinarsi delle elezioni politiche.
In particolare, come per tutte le misure che finiscono per incidere sui portafogli, in molti hanno laconicamente affermato: “Ce lo chiede l’Europa”. Ma è proprio così? E soprattutto, qual è la ragione di questa novità e quali saranno le ripercussioni sui consumi?
È dovere di un consumatore attivo e consapevole interrogarsi su questi aspetti.
Dunque, che ce lo chieda l’Europa non è del tutto corretto. Infatti, la misura or ora varata discende certamente da una direttiva comunitaria che, tuttavia, nel vietare l’utilizzo di buste in plastica non biodegradabili si riferiva alle buste della spesa che, in Italia, sono biodegradibili dal 2012, escludendo, invece, dal divieto le buste con le quali si imballano frutta e verdura.
Solo l’Italia e la Francia, pertanto, hanno optato per una lettura intransigente delle norme comunitarie, vietando l’utilizzo di plastica non biodegradabile e non compostabile anche per tali sacchetti e imponendo il pagamento di un prezzo da parte dei consumatori.
La ragione di tutto ciò? Ufficialmente la tutela dell’ambiente, che certo non può che giovarsi di un maggiore utilizzo di plastica vegetale. Ufficiosamente, però, anche la promozione di quelle realtà industriali impegnate nella produzione di tali materiali.
Una cosa è certa: la questione è stata gestita molto male sotto il profilo dell’informazione, sia dalle istituzioni, sia dalla grande distribuzione, ingenerando confusione e perplessità nei consumatori, che tutt’ora non hanno ben chiaro quanto costino effettivamente i sacchetti e se vi siano delle alternative.
Per quanto riguarda il primo aspetto, sono le catene a stabilire il prezzo di vendita, che può variare in genere da 0,01 € sino a 0,03 €, con una spesa media per famiglia che si stima essere da 4,0 € a 12,00 € all’anno (Fonte: Il Fatto alimentare, http://www.ilfattoalimentare.it/sacchetti-ortofrutta-prezzo-coop.html). Cifre certamente non enormi, ma che dovevano essere comunicate sin dall’inizio con chiarezza agli utenti.
Per quanto riguarda, invece, le alternative, esse non sono di certo molte, per ovvi motivi. Il consumatore potrà utilizzare i sacchetti di carta, che, tuttavia, ove non forniti gratuitamente dal supermercato, nell’ambito di una precisa strategia di marketing che mira a cavalcare il dissenso, potranno costare decisamente di più dei sacchetti in bioplastica. Per il resto, assolutamente vietato utilizzare borse portate da casa, per motivi igienici, potendo contaminare le bilance e gli altri vegetali, nonché per motivi legati alla pesatura del prodotto, salvo non si tratti, come affermato dal Ministero della Salute, di buste monouso biodegradabili … c’è da chiedersi, però, il senso di portare tali buste da casa, se possono essere già fornite dal supermercato!
Non resterebbe, quindi, per evitare il piccolo dazio, altra possibilità che etichettare singolarmente la frutta e verdura. Ma una tale pratica può essere consigliabile? Certamente no, perché oltre a essere, diciamola tutta, ridicola, rischia di essere anche nociva per la salute, laddove si pensi ai prodotti tossici contenuti nella colla impiegata per etichettare i prodotti, per non parlare del fatto che le bilance sono predisposte in genere per la pesatura con l’ausilio del sacchetto, il cui peso viene in automatico sottratto da quello totale.
Come riutilizzare i sacchetti? In teoria, essendo compostabili e biodegradabili, per l’umido. Peccato però che sono estremamente fragili e che su di essi viene, per l’appunto, appiccicata l’etichetta, che certo non è biodegradabile!
In definitiva, si tratta di una misura che astrattamente pare essere motivata da un nobile intento e che non comporta, invero, un sacrificio inaudibile per i consumatori, semmai una loro maggiore responsabilizzazione verso il tema dell’eccessivo utilizzo di materiali plastici. Tuttavia, vi sono diversi aspetti che dovrebbero essere ripensati e migliorati, questa volta però con un maggiore coinvolgimento delle associazioni rappresentative dei consumatori e in una logica di migliore informazione di questi ultimi.